Storia del Comune

Storia di San Gavino Monreale (Santu ‘Engiu)

 





 


I primi insediamenti umani


Per quanto concerne il territorio di San Gavino Monreale, disposto lungo il Riu Mannu, un corso fluviale di tipo rionale che ha origine nei rilievi tra Sardara e Sanluri e sfocia nel Marceddì, esso venne colonizzato dall’uomo sin dal 2600/2500 a. C. Una delle prime località in cui si insediò fu certamente quell’area che oggi viene denominata Ruinas Mannas. Questo centro abitato registrò una lunga continuità di vita ed ebbe una rilevante importanza commerciale sino all’alto medioevo.

 
 
Dall’età del rame all’età del bronzo
 

Intorno al 2000 a. C. nel territorio di San Gavino Monreale si hanno le prime attestazioni di quella che viene definita “cultura di Ozieri o di San Michele”, civiltà megalitica prenuragiche aveva come materiale di lavorazione caratteristico l’ossidiana e praticava un culto dei defunti che ruotava intorno alle tombe ipogeiche e alle sepolture a circolo.
Passarono i secoli, vi fu un miscelarsi delle culture indigene con quelle arrivate nell’isola con i flussi migratori, e si generò la cultura megalitica dei nuraghi, nuove forme difensive e di aggregazione sociale. Gli insediamenti in cui presumibilmente abitavano le genti nuragiche erano sparsi per tutto il territorio e molti di questi sono entrati di diritto nella toponomastica del paese: si pensi ai vari nuraxi scocca, nuraxi ortillionisperdas fittas e perdas longasnuratzeddu, ruinas mannas e ruineddasperd’e ruxicuccur’e casucor’e molas. D’altra parte, innumerevoli sono i diversi utensili o oggetti d’uso comune rinvenuti casualmente durante scavi o lavori nei campi: teste di mazza, resti di vasi, proiettili per fionda, punte di frecce, elementi fallici votivi della fertilità. I resti monumentali, invece, sono prima di tutto i cosiddetti cuccurusu, ovvero le pietre che stavano alla base dei nuraghi e che gli abitanti di San Gavino erano soliti utilizzare come basamento dello zoccolo delle abitazioni in ladiri o lardiri. Tracce di questi cuccurusu si trovano un po’ dappertutto: ad esempio in via Eleonora d’Arborea, in via degli Olmi, all’inizio della via Monreale o in via Carducci, sia davanti alle case sia nel già citato zoccolo delle abitazioni. Spesso queste pietre venivano alla luce nei terreni dissodati, e, essendo in numero consistente, venivano riutilizzate per altri scopi: durante la costruzione della vecchia ferrovia vennero demoliti alcuni resti di nuraghi che si trovavano in quelle zone paludose e i resti basaltici usati per la massicciata della prima strada ferrata ottocentesca.

 
 
Dall’antichità classica all’epoca giudicale
 

Il territorio di San Gavino Monreale è ricco di testimonianze storiche e archeologiche. Nel 1967,durante gli scavi fognari nell’abitato, nei pressi di via Vittorio Veneto, è stata portata alla luce una necropoli romana. Le tombe rinvenute sono ben diciannove e risalgono al periodo paleocristiano; il corredo funerario ritrovatovi è attualmente custodito nell’edificio del Comune di San Gavino Monreale, così come anche i cocci di terracotta nera (buccheroide) dell’età di Cesare. Sempre all'epoca romana risalgono il peristilio di una villa rustica di età imperiale, rinvenuto nel corso della sistemazione dei sottoservizi nella via Copernico, e il ponte romano del IV-V secolo d. C., lungo il rio Pardu. Altre lapidi funerarie sono state disseppellite durante i lavori di restauro del convento dei Francescani. Ugualmente rilevanti le diverse tombe di età imperiale individuate nel corso dei lavori di posa delle condotte per l’irrigazione in località Cardera, oppure la curtis di età imperiale ubicata nell’area nota con il nome di Corte Stevini. La presenza relativamente ragguardevole di testimonianze e resti archeologici di questo tipo non deve meravigliare se si considera che il territorio di San Gavino Monreale, collocato nel bel mezzo della pianura del Campidano, orbitante intorno al bacino minerario di Montevecchio, inevitabilmente attirò le mire dei grandi latifondisti romani e dai professionisti della metallurgia estrattiva. Invero la proprietà terriera romana mantenne in queste zone della Sardegna il carattere di latifondo già impostato dalla dominazione punica, potenziando la produzione di grano e l’esportazione di sughero, dei prodotti della pastorizia e di quelli delle saline. Non si dimentichi, tra l’altro, che nelle immediate vicinanze di San Gavino Monreale i mercanti e viaggiatori cartaginesi fondarono ex novo una città come Neapolis, la cui economia si basava proprio sulla cerealicoltura e la cui vita plurisecolare proseguì sotto l’amministrazione di Roma. Anche le terme o Aquae Napolitanae di Sardara, utilizzate fin dal periodo fenicio-punico, furono avviate a pieno ritmo a partire dal periodo romano: i nuovi colonizzatori intorno ad esse crearono una città con edifici pubblici, di soggiorno, foro, teatro e tempio. Il Medio Campidano tutto, e quindi anche il territorio sangavinese, fu sottoposto a uno sfruttamento agricolo e minerario senza precedenti: l’isola infatti da una parte esportava il prezioso piombo, ferro, acciaio e argento, dall’altro garantiva un continuo approvvigionamento di grano alla capitale.
L’odierna conformazione del centro abitato avrebbe avuto origine, durante il Medioevo, dalla fusione di tre piccoli borghi, chiamati Nurazzeddu, Ruinas Mannas e Ruineddas. Pare che sul finire del secolo X o nell’XI le piccole popolazioni di questi due ultimi villaggi confluirono in quello di Nurazzeddu, spinti dalle incursioni degli arabi, di cui temevano i saccheggi e la ferocia. In questo modo si diede vita ad un centro più grosso e popolato che si stanziò intorno alla chiesetta in onore di San Gavino Martire, che si trovava nei paraggi: il nuovo centro d’incipiente sviluppo prese proprio il nome di San Gavino, mutuandolo dalla chiesetta. Solo successivamente si aggiunse il termine “Monreale”, dal nome del castello costruito nell’XI secolo su una collina a poche miglia dal paese, il quale oggi appartiene però alla giurisdizione del comune di Sardara. Detto castello (“il monte reale”) fu spesso residenza dei giudici d’Arborea e la posizione di una delle sue porte, chiamata “di San Gavino”, era perfettamente in asse con l’abitato della villa omonima. Di fatto bisognerà attendere un regio decreto del 1863, a seguito di una richiesta del Consiglio Comunale, per vedere ufficializzato giuridicamente il toponimo con l’integrazione del termine “Monreale”.
In epoca giudicale San Gavino entrò a far parte del Giudicato di Arborea ed ebbe un ruolo fondamentale, situato com’era proprio lungo i confini tra i due giudicati di Cagliari e di Arborea. Nel paese esistevano, oltre al carcere circondariale, anche imponenti strutture difensive, e la sua posizione centrale, raggiungibile attraverso diverse vie, fece sì che il paese diventasse il capoluogo della curatoria di Bonorzuli. Il centro del paese era attraversato dalla principale strada carovaniera che da Cagliari andava a Nord, unendo il Capo di sotto con il Capo di sopra. Nel tratto Sud la strada carovaniera era chiamata “Bia de Casteddu”, nel tratto nord “Bia de Oristanis”. Per quanto riguarda il protagonismo di San Gavino nel panorama della curatoria di Bonorzuli, alla posizione intermedia strategica che intercettava la più rilevante arteria commerciale dell’isola si sommava la presenza di grandi terreni coltivabili e da pascolo.
Già dai primi anni del XIII secolo i Pisani si erano stabiliti in alcuni nodi commerciali dell’isola, specialmente nella Marmilla e nell’Arborea. Essi vi rimasero per quasi un secolo facendo crescere, con il loro pressante fiscalismo e prepotenza, un progressivo odio delle popolazioni locali. Attorno al 1323 si scatenò quindi una furiosa rivolta che portò i Pisani, trucidati in gran numero, a lasciare l’ isola. Subito dopo la cacciata dei Pisani si registrò uno sviluppo del sistema produttivo che portò San Gavino ad assumere la nomina di bidda manna, nonostante la terribile ondata di peste del Trecento e la guerra nazionale contro gli Aragonesi. Oltre ai vasti terreni per la produzione cerealicola si affiancarono le coltivazioni di zafferano (spezia preziosa importata nell'isola sin dall'epoca romana) e di melone, le quali proiettarono San Gavino dalla dimensione economica insulare a quella continentale.

San Gavino ebbe un ruolo di primo piano nello scacchiere del giudicato d’Arborea ed era tenuto in grande considerazione relativamente alla sopravvivenza dello stesso durante le guerre contro i catalano-aragonesi, a partire dalla seconda metà del XIV secolo. La stessa scelta della chiesa di San Gavino Martire localizzata nel paese per realizzare un pantheon degli Arborea, con le effigi dei loro esponenti più illustri, farebbe pensare che nella vita del giudicato la villa ricoprisse un’importanza considerevole, secondaria soltanto rispetto a Oristano, unico centro urbano di dimensioni superiori a San Gavino.
Con la fine del potere giudicale la curatoria di Bonorzuli divenne la Baronia di Monreale, che comprendeva cinque villaggi principali, tra cui San Gavino, sotto l’egemonia dei Carroz di Quirra. Tra questi villaggi, a partire dal 1483, San Gavino è inoltre quello più popoloso.

 
 
Dall’era moderna al Novecento
 

Storicamente, dunque, il paese fece parte fino al XV secolo del Giudicato d’Arborea, al confine con quello di Cagliari. Nel periodo della dominazione spagnola fu incluso, con la Baronia di Monreale, nel Marchesato di Quirra, fino al 1840 circa, rappresentandone il punto di confine con i diversi feudi di Sanluri e di Villacidro. Carlo Alberto di Savoia tra il 1835 e il 1840 abolì con una lunga serie di provvedimenti i privilegi feudali che in Sardegna rappresentavano un pesante retaggio della dominazione spagnola. I costi del risarcimento spettante ai baroni vennero definiti in contraddittorio presso le Regie Delegazioni appositamente costituite, vedendo contrapposti i Consigli Comunitativi dei villaggi interessati ed i rispettivi feudatari. Da quanto si evince dalla letteratura di riferimento, i feudatari cercarono di estendere le proprie pretese ed ovviamente i Sindaci e i Consigli Comunitativi più battaglieri cercarono di contrastarli sostenendo le ragioni dei loro amministrati. È quel che accadde anche a San Gavino Monreale, visto che ricadeva nel Marchesato di Quirra, dove il conflitto fu assai aspro.
Il “Dizionario Storico” del Casalis ha tramandato l’immagine di un villaggio ad economia quasi esclusivamente contadina e pastorale. San Gavino Monreale s’inserisce a pieno titolo nell’ambito di quelle civiltà che adoperavano l’antica tecnica costruttiva della terra cruda. Come nella maggior parte delle zone pianeggianti della Sardegna meridionale, fino agli anni Cinquanta il materiale di costruzione più usato era il mattone di fango crudo (lardiri o ladiri), che caratterizzava la civiltà contadina del Campidano. È interessante rilevare come la scarsità di pietre che caratterizza la piana campidanese abbia indotto l’uomo ad utilizzare ciò che l’ambiente rendeva disponibile: terra cruda impastata con la paglia per realizzare il ladiri, indispensabile nella costruzione di case e muri di cinta nel centro abitato; lentisco ed altri arbusti per edificare le recinzioni di orti, frutteti e vigne. La vocazione economica agro-pastorale del centro fu ovviamente incentivata dalla posizione pianeggiante del territorio, che ha facilitato alcune tipologie di coltura, tra cui vanno citate, oltre alle granaglie e alla vite, il riso e lo zafferano. Tuttavia, come ci tramanda il Casalis, la posizione pianeggiante causava anche ingenti danni e “mancando di declività, anzi essendo alquanto concavo il terreno, spesso si inondava e si trasformava in un grande pantano”. L’area stagnante rendeva difficile combattere gli attacchi della malaria che affliggevano gli abitanti del borgo sia d’estate che d’inverno. Ma nel tempo le cose cambiarono, e gli importanti lavori di bonifica e di deviazione delle acque che furono fatti diedero al territorio nuove possibilità di sviluppo.
Proprio lo zafferano, che a San Gavino Monreale vanta una tradizione millenaria, rappresenta la coltivazione più importante e la più nota. Il cosiddetto “oro rosso”, prodotto di pregio tra i più caratteristici della tipica tradizione mediterranea, ricopre un ruolo cardine nel contestoeconomico ed ampliamente socio-culturale del paese. San Gavino Monreale in effetti può fregiarsi del titolo di “capitale dello zafferano”, in quanto la gestione prevalentemente femminile e di natura familiare di queste colture di altissima qualità è riuscita, con grande impegno e devozione, ad ottenere l’eccezionale primato di produrre ben il 60% della quantità totale di zafferano italiano.
San Gavino, crocevia, luogo di passaggio e di transito, confermò ulteriormente la sua posizione strategica con l’inaugurazione della linea ferroviaria che rese la cittadina centro nevralgico degli spostamenti di uomini e merci da e per tutta la zona del Medio Campidano. E fu proprio il suo collegamento con la città capoluogo di Cagliari e, in particolare, con il suo porto a favorire l’inserimento di San Gavino nel grande settore dell’industria mineraria che interessava le aree di Guspini e Arbus, il bacino minerario di Montevecchio. La presenza del collegamento con la città portuale suggerì alla società di Montevecchio la realizzazione della linea ferroviaria privata, di proprietà della miniera, che collegava Montevecchio a San Gavino, riducendo notevolmente i costi del trasporto del minerale. Il crollo di Wall Street del 1929 significò l'inizio di una depressione mondiale che mise il Consiglio di Amministrazione di Montevecchio, nel 1930, di fronte a un bivio: investire somme considerevoli per dare nuovo impulso alla produzione, verticalizzandola con la costruzione di una moderna fonderia capace di una lavorazione iniziale di almeno diecimila tonnellate all'anno, oppure morire sotto il peso sempre più insostenibile dei debiti. Per la scelta a favore della Fonderia fu determinante anche il ruolo di Francesco Sartori, amministratore delegato della Monteponi, e di Domenico Giordano, amministratore delegato della Montevecchio. I due amministratori compresero immediatamente la necessità vitale, per entrambe le Società, ma soprattutto per la Montevecchio, della costituzione di una società unica che avesse come obiettivo principale la costruzione e gestione della fonderia. Dal loro accordo, poi ratificato dai rispettivi consigli di amministrazione, nascerà la Società Italiana del Piombo e con essa la Fonderia di San Gavino. L’inaugurazione della grande Fonderia nel 1932, progettata dall’ingegner Rolandi, avviò la sostanziale modernizzazione del paese, generando sviluppo, benessere e avendo un notevole impatto sulla sua vita socio-economica. Negli anni Sessanta del Novecento questa forte presenza industriale è stata rafforzata con la creazione dell’area industriale di Villacidro, a pochi chilometri di distanza. La Fonderia di San Gavino fu per diverso tempo la più grande d’Europa, universalmente famosa per la produzione di pallini da caccia: venduti in tutto il mondo, vennero adoperati alle Olimpiadi dal 1956 in virtù della pregevole fattura.

 

 
Attualità
 

Al giorno d’oggi San Gavino Monreale è un comune italiano di 8.894 abitanti della provincia del Medio Campidano. Il processo d’industrializzazione su cui si è retta l’economia cittadina per molti decenni sembra aver esaurito il suo ciclo. La fonderia di San Gavino è stata una delle più importanti realtà industriali del territorio, ma la chiusura di numerose fabbriche del villacidrese e la sempre più povera produzione all'interno della fonderia stessa hanno reso necessario ricostruire l'economia della cittadina. Oggi la realtà economica è prevalentemente caratterizzata da piccole e medie imprese e dallo sviluppo del settore terziario. Numerosi uffici pubblici, le scuole e il locale ospedale sono i luoghi di maggior impiego delle risorse umane nel terziario cittadino. Il settore primario, l'agricoltura, persiste, ma non a livello di produzione di massa atta alla commercializzazione del prodotto. Il turismo non è ancora particolarmente valorizzato nonostante le diverse attrattive costituite da monumenti, musei, feste, eventi e manifestazioni. Per la tradizionale vocazione alla coltivazione dello zafferano, di cui il paese è il maggiore produttore nazionale, a San Gavino Monreale nel mese di novembre si svolge la Sagra dello Zafferano, la più importante a livello regionale dedicata a questo prodotto. La domenica e il martedì prima del Mercoledì delle Ceneri si svolge da decenni il carnevale sangavinese con la sfilata dei carri allegorici. Grazie all'abilità con la cartapesta degli artisti locali i carri di San Gavino sono ritenuti tra i più belli della Sardegna e l'uso di realizzarne con caratteristiche simili si sta diffondendo in molti comuni, più o meno limitrofi. In onore della patrona del paese, Santa Chiara, viene celebrata ogni anno una settimana di festa nel mese di agosto, con eventi religiosi e civili. Anche per la festa di Santa Teresa, a settembre, per quella di Santa Lucia, a dicembre, e per quella di San Gavino Martire, a maggio, si tengono festeggiamenti tanto di tipo religioso quanto di natura civile.
Ubicato lungo la Strada Statale 197, attraverso la quale è collegato ai centri di Guspini e Sanluri, il paese fino a poco tempo fa era attraversato dalla ferrovia, ma il percorso è stato recentemente deviato ed è stata edificata la nuova stazione nella periferia est.


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